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Rendimenti secondo trimestre 2025

Nel secondo trimestre dell’anno tutti i comparti del Fondo Eurofer hanno avuto rendimenti positivi, Garantito +1,10%, Bilanciato + 1,48% e Dinamico +3,40%, riportando sopra lo zero anche i rendimenti da inizio anno dei comparti Bilanciato e Dinamico (rispettivamente + 0,56% e +1,26%). 

Il miglioramento è dovuto al recupero dei mercati azionari.

Nel trimestre gli indici azionari dei mercati sviluppati hanno avuto un rendimento compreso fra un minimo del +2,46% (azioni globali dei mercati sviluppati) a un massimo del +8,97% (azioni globali dei mercati sviluppati a cambio coperto). L’indice dei mercati emergenti ha avuto un rendimento positivo del 2,93%.

Da inizio anno i rendimenti degli indici azionari globali a cambio aperto hanno ancora rendimenti negativi a causa dell’indebolimento del cambio euro/dollaro, passato da 1,08 a fine marzo a 1,18 circa a fine giugno. La svalutazione del dollaro è pari a circa 8% nel trimestre e 12% da inizio anno.

Gli indici obbligazionari hanno avuto rendimenti nel trimestre tutti positivi e pari a 1,00% e 0,90% (indice governativo e aggregate euro 1-3 anni), 0,92% (indice globale titoli di Stato), 1,02% (indice obbligazionario globale “investment grade”) e 2,88% (indice obbligazionario globale “high-yield”). 

Gli indici obbligazionari globali utilizzati nei benchmark dei comparti Bilanciato e Dinamico non sono penalizzati dalla debolezza del dollaro perché il rischio di cambio è completamente coperto.

L’andamento dell’indice obbligazionario globale investment grade è stato penalizzato dall’aumento dei rendimenti delle obbligazioni a lungo termine in tutti i grandi paesi: negli Stati Uniti a causa dei timori sul debito pubblico e la politica fiscale, in Germania in seguito all’annuncio del massiccio programma di spesa pubblica in armamenti e infrastrutture, in Giappone a causa del ritorno dei tassi d’interesse su livelli più normali. 

Nell’area euro si distingue l’andamento dei titoli di Stato italiani. Negli ultimi giorni di giugno il differenziale di rendimento fra titolo decennale italiano e tedesco (lo “spread”) è sceso al disotto di 90 punti base, minimo degli ultimi 10 anni.

Il risultato di fine trimestre dei mercati azionari nasconde un’oscillazione fortissima, nella quale l’indice S&P 500 della borsa americana, dopo l’annuncio di dazi generalizzati da parte del presidente Trump, ha perso dai massimi circa il 19% per poi recuperare tutte le perdite e concludere il trimestre, in dollari, il 6% più alto di inizio anno.

Una possibile spiegazione del recupero è che l’incertezza generata dagli annunci e smentite e dai fatti concreti dell’amministrazione Trump si sta manifestando solo molto lentamente nei dati macroeconomici. Ricordiamo che ad aprile, pochi giorni dopo il” Liberation day” il Fondo Monetario Internazionale aveva tagliato le stime di crescita dell’economia mondiale di circa mezzo punto percentuale, con una revisione di quasi un punto per gli Stati Uniti. Le stime dell’andamento del PIL nel primo trimestre (-0,50%) confermerebbero questa previsione. Ancora oggi, però, gli indicatori anticipatori compositi (i cosiddetti “Purchasing Manager Index”) in USA sono su livelli migliori di quelli in Europa.

La difficoltà di lettura del quadro macroeconomico si riflette nell’atteggiamento attendista delle banche centrali.

I dazi per ora non sembrano aver avuto un impatto sull’inflazione, se non per fermarne la graduale riduzione, ma ciò è bastato alle banche centrali per abbandonare ogni annuncio di riduzione dei tassi ufficiali, anche perché la parte “core” del’inflazione ha ormai cessato di scendere e le materie prime hanno un impatto sostanzialmente neutrale.

I mercati azionari e obbligazionari, nonostante tutto, dimostrano un atteggiamento quasi di indifferenza all’incertezza nella politica economica e nel quadro geopolitico. Basti considerare la reazione alquanto tiepida alla “guerra dei 12 giorni” fra Israele e USA e Iran. Tutte le tensioni sembrano essersi scaricate sul dollaro, che ha avuto i sei mesi peggiori dall’inizio degli anni ’70.

Al contrario l’indice della borsa americana è tornato sui massimi, nonostante valutazioni eccezionali, e la volatilità, dopo il picco nei primi giorni di aprile, è ora a livelli contenuti (circa 16% all’inizio di luglio). Il rendimento del T-Bond a 10 anni, dopo il rialzo di fine anno è comunque stabile e inferiore ai massimi del 2023, nonostante il disavanzo pubblico e il flusso emissioni negli Stati Uniti che sarà sicuramente peggiorato dall’entrata in vigore della legge fiscale proposta dalla presidenza Trump. Un segnale di maggiore preoccupazione viene dal titolo a 30 anni, ai massimi degli ultimi 20 anni.

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