Nel terzo trimestre tutti i comparti di Eurofer hanno avuto un rendimento positivo, pari rispettivamente al 2,01% per il comparto Garantito, al 2,58% per il comparto Bilanciato e al 2,77% per il comparto Dinamico.
Da inizio anno i rendimenti invece sono pari al 2,21% per il comparto Garantito, al 6,09% per il comparto Bilanciato ed al 9,93% per il comparto Dinamico.
Il buon andamento di tutti i comparti del Fondo Eurofer è dovuto sia alla continuazione della crescita dei mercati azionari sia, soprattutto, al recupero dei mercati obbligazionari.
Nel terzo trimestre gli indici azionari hanno avuto un rendimento compreso fra un minimo del 2,24% (azioni globali dei mercati sviluppati con rischio di cambio aperto) a un massimo del 5,15% (azioni globali a bassa capitalizzazione mercati sviluppati a cambio aperto). L’indice dei mercati emergenti ha avuto un rendimento del 4,51%.
I mercati azionari hanno perciò completamente recuperato la debolezza di fine luglio e dei primi giorni di agosto. A sostenere i mercati sviluppati sono stati il ritorno di attenzione verso i segmenti “non tecnologici” e verso le aziende a piccola capitalizzazione. I mercati emergenti hanno invece beneficiato, nella seconda metà di settembre, della ripresa del mercato azionario cinese, che dal 13 settembre a fine mese ha guadagnato oltre il 27% grazie all’annuncio del pacchetto di stimoli monetari e fiscali decisi dal governo per rilanciare l’economia.
Gli indici obbligazionari hanno avuto rendimenti nel terzo trimestre del 2,18% e 2,21% (indice governativo e aggregate euro 1-3 anni), del 3,48% (indice globale titoli di Stato), del 3,77% (indice obbligazionario globale “investment grade”) e del 4,496% (indice obbligazionario globale “high-yield”) e ciò ha portato i rendimenti da inizio anno rispettivamente al 2,93%, 2,56%, 2,54%, 3,11% e 8,21%.
L’ottimo andamento degli indici obbligazionari riflette il cambiamento che si è verificato nei mesi estivi nell’atteggiamento delle banche centrali, che hanno reagito alla discesa dell’inflazione riducendo i tassi ufficiali. La BCE ha fatto due tagli di 25 punti base a giugno e settembre, la FED uno solo a settembre, ma di 50 punti base.
L’andamento dei mercati riflette condizioni di sostanziale stabilità, pur in un contesto di parziale indebolimento, del quadro macroeconomico, che non sembra per ora colpito dalle tensioni geopolitiche.
Le stime di crescita dell’economia globale pubblicate a metà settembre dall’OCSE confermano sostanzialmente le previsioni di crescita fatte a maggio migliorandole per l’area Euro grazie a Spagna, Italia e Francia.
Rimane forte l’attesa per i paesi emergenti, soprattutto India e Indonesia. Per quanto riguarda gli Stati Uniti è previsto un rallentamento della crescita, dal 2,6% nel 2024 all’1,6% nel 2025.
Anche se gli indici del settore manifatturiero mostrano debolezza, in tutto il mondo sviluppato la crescita è sostenuta dal settore dei servizi, dove è ancora in corso un rimbalzo rispetto all’epoca COVID. Segnali di una crescita ancora sostenuta vengono dal commercio globale che, nonostante tutte le tensioni geopolitiche, negli ultimi trimestri ha ripreso a crescere con diversi indicatori su livelli superiori a quelli di un anno fa.
Passando al tema dell’inflazione i dati più recenti indicano un netto miglioramento della situazione. L’OCSE prevede anche un netto miglioramento dell’inflazione, che a fine 2025 dovrebbe raggiungere il livello obiettivo delle banche centrali. Negli ultimi mesi la stabilità dei prezzi delle materie prime in euro ha contribuito a moderare l’inflazione misurata su tre o sei mesi, il che spiega il cambiamento di attitudine delle banche centrali e l’inizio di una fase di taglio dei tassi ufficiali.
Le attese dei mercati in termini di tagli di tassi (oltre 2 punti percentuali entro fine 2025) sono probabilmente troppo ottimistiche, perché le banche centrali, in questo momento, non devono fronteggiare nessuna emergenza ma solo mantenere ad un livello adeguato i tassi reali. In questo contesto stupisce constatare che il rendimento del titolo decennale tedesco sia sceso a circa il 2%, perciò a 0% al netto dell’inflazione attesa. Inoltre, occorre ricordare che la dimensione del disavanzo pubblico americano, intorno al 7% e la conseguente necessità di emissione di titoli del Tesoro, ostacoleranno una discesa dei rendimenti a lungo termine.