Nel terzo trimestre dell’anno tutti i comparti del Fondo Eurofer hanno avuto rendimenti positivi, Garantito +0,47%, Bilanciato + 2,17% e Dinamico +4,04%.
Da inizio anno i rendimenti sono rispettivamente pari al 1,91%, 2,74% e 5,35%.
Questi risultati sono dovuti all’andamento positivo dei mercati azionari e della componente più rischiosa (“high yield”) dei mercati obbligazionari.
Nel trimestre gli indici azionari dei mercati sviluppati hanno avuto un rendimento compreso fra un minimo del +7,03% (azioni globali dei mercati sviluppati a cambio coperto) e un massimo del +10,70% (azioni globali mercati emergenti). Il buon andamento dell’indice dei mercati emergenti è dovuto soprattutto al recupero delle azioni cinesi, trascinate dal settore tecnologico e dalla debolezza del dollaro.
Anche le azioni a bassa capitalizzazione (“small cap”), hanno avuto un andamento positivo (+8,68% nel trimestre). Il rinnovato interesse per questa asset class è dovuto alla sua sensibilità al livello dei tassi d’interesse e al desiderio di diversificazione rispetto all’indice globale “large cap” troppo concentrato su poche grandi società americane.
Nell’ultimo trimestre il cambio euro dollaro è rimasto sostanzialmente stabile intorno a 1,17, ma da inizio anno la differenza di rendimento fra l’indice azionario globale a cambio aperto (esposto perciò alla svalutazione del dollaro dei primi mesi) e coperto rimane elevata e pari a circa il 10%.
Gli indici obbligazionari hanno avuto rendimenti nel trimestre tutti positivi e pari a 0,30% e 0,42% (indice governativo e aggregate euro 1-3 anni), 0,02% (indice globale titoli di Stato), 0,58% (indice obbligazionario globale “investment grade”) e 2,09% (indice obbligazionario globale “high-yield”).
Da inizio anno il rendimento dell’indice “high yield” è pari al 5,90%, superiore perciò a quello degli indici azionari globali dei mercati sviluppati a cambio aperto.
Gli indici obbligazionari globali utilizzati nei benchmark dei comparti Bilanciato e Dinamico non sono penalizzati dalla debolezza del dollaro perché il rischio di cambio è completamente coperto.
Dopo un inizio anno difficile, l’andamento dell’indice obbligazionario globale investment grade è stato favorito dalla stabilizzazione dei rendimenti a lungo termine nelle principali economie, dove le preoccupazioni per le dimensioni dei debiti pubblici sono state compensate dalla moderazione del tasso di inflazione e dall’attesa di tagli dei tassi ufficiali da parte di FED e BCE. La buona condizione delle imprese sia negli Stati Uniti sia in Europa ha anche favorito il mercato delle obbligazioni societarie spingendo a una riduzione degli spread rispetto ai titoli di Stato verso livelli minimi storici.
Alla moderazione del tasso di inflazione contribuisce anche la debolezza dei prezzi delle materie prime energetiche. Nell’ultimo anno il prezzo del petrolio è sceso di circa il 18% in dollari e del 21% in euro. Il prezzo del gas in Europa nello stesso periodo è sceso del 20% circa.
Nell’area euro hanno continuato a pesare le tendenze rilevate nel primo trimestre. Le difficoltà politiche e finanziarie della Francia e l’aumento della spesa pubblica in Germania favoriscono, in termini relativi, i mercati dei titoli di Stato dei paesi periferici. Il differenziale di rendimento fra BTP e Bund è ormai vicino a 80 punti base, in linea con quello della Francia. A favorire questo movimento sono anche le prospettive di crescita, che secondo il Fondo Monetario Internazionale nel 2025 sono superiori per Italia e Spagna rispetto alla Germania.
La continua crescita del mercato azionario americano è il riflesso di una situazione economica decisamente migliore rispetto a quella che si era temuta nel mese di aprile. Per ora l’impatto dei dazi è stato minimo sul tasso di inflazione, che è leggermente aumentato ma non abbastanza da modificare le attese a lungo termine dei mercati. Anche l’impatto negativo sulla crescita non si è manifestato. Nell’aggiornamento di luglio del suo World Economic Outlook il Fondo Monetario Internazionale ha, anzi, leggermente migliorato le previsioni di crescita negli Stati Uniti rispetto al dato di gennaio. Il mercato del lavoro manifesta segni di debolezza che per ora vengono attribuiti più al blocco delle immigrazioni che alla debolezza della domanda.
Anche gli indicatori congiunturali anticipatori, come i Purchasing Managers Index (PMI) segnalano una sostanziale tenuta delle aspettative, sia nel settore manifatturiero sia nei servizi.
In generale, comunque, si osserva che la forza del mercato azionario americano si basa su una elevata crescita degli utili soprattutto delle grandi società tecnologiche che ne rappresentano ormai il 40% della capitalizzazione (il che ovviamente espone a un elevato rischio di concentrazione).
I mercati sono stati sostenuti in questi mesi anche dall’attesa di politiche monetarie più accomodanti, negli Stati Uniti, e da ben sei tagli di tassi della BCE. Nel corso del 2025 la FED ha ridotto i tassi ufficiali tre volte, dal 5 al 4,25%. La presidenza Trump ha fatto negli ultimi mesi fortissime pressioni sul governatore Powell per ulteriori riduzioni, pressioni che hanno portato a temere una perdita di autonomia della banca centrale. I segnali più recenti fanno pensare che, nonostante le affermazioni di cautela, la FED potrebbe ora reagire a un’ulteriore debolezza del mercato del lavoro piuttosto che a un temporaneo aumento dell’inflazione, causato dai dazi.